giovedì 29 maggio 2014

Nicola Manuppelli, Bowling

"Il colpo può anche andare a buon fine. Oppure puoi scoprire che le amicizie, il lavoro, la donna con cui stai, tutto ciò che sei è solamente ciò che ti è capitato. Nient’altro. Un tiro affidato alla sorte".

Nicola Manuppelli, Bowling, Barney, euro 14.50, pp. 144
Nicola Manuppelli è la voce attraverso la quale ho letto molti dei romanzi che ho amato di molti dei miei autori americani preferiti. Ha tradotto Andre Dubus (oltre a Fitzgerald, Williams, Kinder) e questo mi rende debitrice di gratitudine verso il suo lavoro per sempre. Fino ad ora è sempre e solo stato il nome del traduttore sulla copertina (o dietro, nel colophon) mentre da poco è uscito il suo romanzo, Bowling, edito da Barney editore. La sua è una voce originale, intendo personale, se vi aspettate di ri-leggere gli autori che traduce rimarrete delusi, anche se un po’ d’America fra le righe la troverete comunque.


Quando penso al bowling penso all’America delle grandi periferie, quella dei sogni infranti, delle seconde possibilità, dei tipi affascinanti ma un po’ stonati, al bowling psichedelico de Il grande Lebowski o all’armadietto di Vincent Gallo, alias Billy in Buffalo ’66, rimasto intatto durante i suoi anni di galera. Non mi vengono in mente business man o professori universitari che giochino a bowling, o perlomeno non che giochino “sul serio”, quindi non per distrarsi. Al, il protagonista del romanzo, non fa eccezione. Trent'anni di aspirazioni lentamente prosciugate dalla vita, magazziniere di giorno e giocatore la sera, una donna che ha molto amato e che forse ama ancora, in modo diverso, un gruppo di amici che pensa di conoscere ma forse non conosce troppo bene.


Parla con noi, o forse parla a se stesso, in una lunga serata alla sala bowling della periferia milanese, impossibilitato insieme al suo gruppo di amici ad uscire perché fuori imperversa una tempesta di neve. Filosofia spicciola quella di Al, poche regole e il resto confusione, sensazione di essere un peso, un limite, sensazione di non poter essere pienamente se stesso perché nessuno lo reggerebbe. Durante il corso della serata la tensione sale verso l’impossibile lieto fine e l’inevitabile esplosione, di rabbia, di vita, del se stesso più o meno autentico, arriva con una potenza senza sconti.


Nessun commento:

Posta un commento