lunedì 5 maggio 2014

Quando ho scelto la casa non sapevo, non potevo ancora saperlo ma se lo avessi saputo… ah se lo avessi saputo

Da quando è primavera, quindi nei brevi spazi di tempo in cui non piove, faccio colazione fuori in terrazzo. Non immaginate un vero e proprio terrazzo con tanto di tavolo da pranzo, ombrellone piante e fiori (su questo punto sto lavorando) ma un semplice balcone che segue il perimetro della casa, stretto un metro e lungo forse una decina, tipico dei condomini degli anni cinquanta/sessanta. 


Faccio colazione in piedi, con grande tazza di caffè in una mano e muffin nell'altra, guardando fuori i tetti della città, il centro storico, le persone che passano, e respirando l’aria fresca del mattino. Una condizione per la scelta della casa era, infatti, la vista, non la “vista mare”, ma una vista interessante, stimolante: belle case con tante finestre, terrazzini fioriti, una strada non trafficata perché in parte pedonale, tante persone che camminano. Quello che però ha decisamente superato le aspettative è il profumo tutt'intorno.


Non proprio davanti casa, diciamo ad una cinquantina di metri, direzione centro storico, c’è uno dei forni storici della città e alle 8 circa sfornano la focaccia (ovviamente non la prima sfornata, quella più vicina all’orario della mia sveglia). Ora, dovrei essere una scrittrice per potervi trasmettere come una giornata possa essere trasformata da questi piccoli particolari piaceri della vita. Oltretutto qui la focaccia è una cosa seria. La si mangia a colazione (col caffelatte, io ancora non sono abbastanza chiavarese da poterlo fare), a pranzo, merenda e cena. La mangiano i bambini a scuola, gli anziani sulla panchine, i turisti che visitano la città, ma anche gli impiegati usciti dal lavoro. Ci sono infinite dissertazioni su come debba essere: sale grosso sì o no, quanti buchi, quanto spessa, quanto croccante… 


Se non lascia le dita unte non è focaccia, ma spianata, non è assolutamente asportabile (oltre la provincia assume tutt’altro sapore). Io mi accontento di respirarla, mangiarla (ammetto una più che predilezione per quella con le cipolle), e ricordare la fine del libro di Jay McInerny, Le mille luci di New York (Bompiani editore)
Mentre torni a girarti, quello che resta della tua attrezzatura olfattiva ti manda un messaggio al cervello: pane fresco. Da qualche parte stanno cuocendo il pane. Senti il profumo, perfino con il naso ridotto in quel modo. Vedi dei camioncini che stanno caricando il pane davanti a un edificio a metà del prossimo isolato. Guardi i sacchi di panini portati a spalla da un uomo con gli avambracci tatuati. Quest’uomo è già al lavoro per permettere alla gente normale di avere il pane fresco sulla tavola della colazione. La brava gente che dorme di notte e mangia uova a colazione. È domenica e tu non mangi da… da quando? Da venerdì sera. Ti avvicini ai furgoni, e il profumo del pane ti avvolge come una pioggerella leggera. Inali profondamente, ti riempi i polmoni. Ti vengono le lacrime agli occhi, e provi una tale sensazione di tenerezza e pietà che sei costretto ad attaccarti a un lampione

E voi, che mi raccontate? Quali sono i profumi delle vostre giornate?

1 commento:

  1. profumo di ciambella, quella con lo zucchero in granella sopra ciao

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