venerdì 16 maggio 2014

Don DeLillo, End zone - È solo un gioco, ma è il solo gioco che ci sia

Ho appena finito di leggere l’ultimo romanzo pubblicato da Einaudi di DeLillo, End Zone, e sono in difficoltà a scriverne. E uno dei miei autori preferiti e dopo aver letto tanti nordici avevo proprio voglia di leggere una storia americana, ma sono rimasta un po’ delusa, forse non sono riuscita a comprenderlo totalmente, forse semplicemente non mi è piaciuto. 

Don DeLillo, End Zone, Einaudi, pp. 243, €19,50
Dopo averlo letto ho anche compreso il motivo per il quale questo romanzo, scritto nel 1972, non fosse ancora stato tradotto in italiano. Di primo acchito avevo pensato fosse per il tema del football americano (cosa che invece a me entusiasmava) che è lontano dalle preferenze del pubblico italiano, ma non è così, anche perché da questo punto di vista è una storia godibilissima anche da chi non sa nulla di questo sport. 
Veniamo alla trama. End Zone è narrato in prima persona da Gary Harkness, running back della squadra di football del West Texas College, i Logos. Il college, che si trova ai margini del nulla, non ha niente da offrire alle nuove reclute a parte "lavoro e dolore" ed i ragazzi della squadra passano il tempo tra allenamenti (tanti), studio (poco) e feste alticce. Molto spassosi sono i dialoghi fra i vari componenti della squadra, in particolare i monologhi di Anatole che vuole disebreizzarsi perdendo peso, eloquio e liberandosi dei punti interrogativi. 
Gary, che ha un passato difficile a causa della sua incostanza e, di college in college, di squadra in squadra, è giunto alla sua ultima spiaggia, passa il tempo a giocare, fare picnic con una ragazza eccentrica di nome Myna, studiare in modo ossessivo armi nucleari e strategie militari. È un ragazzo socievole ma ha una natura meditativa e irrequieta che lo fa interessare più ai possibili scenari storici di una futura guerra nucleare (siamo negli anni Settanta) piuttosto che alla direzione da dare alla sua vita, impedendosi di trovare appagamento anche dalle vittorie della sua squadra e non trovando vie di fuga alla sua ansia. Lo stesso isolamento ed ansia che caratterizza l’America nel periodo della guerra fredda.


Harkness rappresenta l’americano medio, non vorrebbe fare scelte definitive e preferirebbe che le circostanze scegliessero al posto suo in modo da non doversi sentire colpevole di nulla in caso di errore. La paura degli scenari atomici di cui legge e discute con il suo professore lo tormenta, tiene vivo e allo stesso tempo paralizza. Capisce di essere una pedina insignificante nel contesto storico e nonostante si sforzi di comprendere il gioco che lo sta “muovendo” sa che nonostante la pratica ogni possibile simulazione porterà alla reciproca distruzione, e quindi comunque al fallimento. Impossibilitato a capire a fondo ed ad agire, sceglie l’esilio.

Nonostante questo lungo racconto anticipi molte delle tematiche affrontate successivamente dell’autore (sport come metafora della vita, e della guerra espressa attraverso la similitudine del gergo incomprensibile, critica della società americana), e nonostante sia scritto con lo stile caustico e arguto che lo contraddistingue, da libraia avrei qualche difficoltà a consigliarlo. DeLillo ha scritto dei capolavori come Rumore bianco e Underworld, perché leggere (prima) questo? 


Mi piacciono le storie che hanno un’idea di fondo che non si sviluppa necessariamente attraverso una trama complessa. Non è importante per me che ci siano colpi di scena continui ma anche se il romanzo è intellettualmente stimolante, e lo è soprattutto se si legge come una universale dissertazione sul linguaggio (logos college, corso di laure sull’indicibile ecc…) e DeLillo sviluppa temi interessanti avrebbe potuto fare di più. E infatti lo ha fatto. Quindi, se ancora non conoscete l’autore vi consiglio di leggere direttamente Rumore Bianco, vero capolavoro di satira sociale.

Il football è un complesso di sistemi. Non somiglia a nessun altro sport. Quando si gioca nel modo giusto, consiste nel collegamento reciproco di un certo numero di sistemi. L’individuo. Il piccolo gruppo di cui fa parte. L’unità più grande, gli undici giocatori. Si fa un gran parlare di quanto questo sport sia violento. Questa è la parte meno importante, in realtà. Il football è uno sport brutale solo per chi lo osserva da lontano. AL centro c’è un nucleo di calma, di tranquillità. I giocatori accettano il dolore. C’è una sensazione di ordine persino alla fine di un’azione di corsa con i corpi dei giocatori buttati a terra tutto attorno. Quando i sistemi sono collegati, questo gioco dà un tipo di soddisfazione che non può essere riprodotta. Possiede una forma di armonia.


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