giovedì 24 aprile 2014

Sento che la mia arte parla di me stessa, per un sacco di motivi sbagliati. Francesca Woodman

Ieri sera, troppo tardi per andare al cinema, troppo presto per andare a dormire o leggere, ho visto The Woodmans, docu/film del 2010 a firma Scott Willis sull'omonima famiglia di artisti, il cui nome più celebre è quello di Francesca Woodman, artista tormentata dal talento precoce, morta suicida all’età di soli 22 anni.


Madre ceramista e padre pittore astrattista (il fratello diventerà anche lui un artista), Francesca cresce in una famiglia nella quale il discorso sull'arte è una presenza costante e incoraggiante, e molto presto, ancora adolescente, scopre lo sguardo della macchina fotografica. Uno sguardo che proietta su se stessa sotto forma di autoscatto, caratteristica della quasi totalità delle sue immagini.
Non la lascerà più (e non prenderà mai in mano un pennello); la fotografia diverrà per lei sia strumento che appendice di sé stessa, ricerca ed essenza, forma e sostanza, fermamente decisa ad esprimersi in un dialogo incessante ed irrisolto.


Francesca è una serie infinita di autoscatti. Un corpo nudo che fotografa se stesso mentre vaga all’interno di una stanza dai muri scrostati. La ricerca vana di un posto nel mondo, la ricerca di un risultato, di un’armonia impossibile. Francesca è una ossessione. Francesca è un pensiero troppo veloce per essere compreso da chi le sta intorno; è insofferenza per l’impossibilità di un dialogo e un confronto. Francesca è una voce fuori campo che chiede alla persona che ama che cosa vuole per cena. 


Francesca è l’artista che ostinatamente e dolorosamente ricerca, fotografando se stessa ed il proprio corpo, di comprendere la propria fragilità e di farne splendore; un vetro sottile che cade e genera mille cristalli, un livido che traspare dalla pelle, una goccia di sangue, le mani sulla parete nuda.
Ed anche: un sorriso, il gioco di nascondersi, indossare delle ali, sfidare l’osservatore.
Nel 2007 ero in vacanza a New York, allora non potevo saperlo ma la mostra che ho visitato è stata la prima dedicata interamente a Francesca. Un riconoscimento postumo ed estremamente tardivo. Come tanti artisti, ci sono voluti anni prima di poter capire il risultato di questa sua spasmodica ricerca, durata dieci intensi anni. Ho trovato le sue fotografie intense, liricamente suggestive, commoventi. L’ho sentita accanto a me, ho sentito, come spesso mi accade leggendo un libro o visitando una mostra, o vedendo un film, la capacità dell’artista di descrivere una parte di ognuno di noi, di metterla a fuoco con le parole e le immagini giuste, e mi sono commossa nel dirle grazie.


Il documentario alterna interviste a genitori amici e colleghi, letture dei suoi diari, fotografie in fermo immagine, ed alcuni video da lei girati. Secondo me è assolutamente da vedere. Suo padre ad un certo punto, parlando dell’elaborazione impossibile del dolore per la scomparsa della figlia, cita le poesie di Emily Dickinson. A me è venuta in mente questa:
C'è una solitudine dello spazio
Una solitudine del mare
Una solitudine della Morte, ma queste
Sono comunità
Confrontate con quell'area più profonda
Quell'intimità polare
Un'anima al cospetto di se stessa – 
Infinito finito


note:
le fotografie hanno per oggetto il magnifico catalogo della mostra: Francesca Woodman, edito da Silvana Editoriale e curato da M. Pierini, pp. 189, €35,00
meraviglioso e consigliato, per approfondire, Francesca Woodman’s notebook, sempre Silvana Editoriale, la fedele riproduzione di uno dei quaderni scolastici acquistati da Francesca nel suo viaggio a Roma del ’78 nel quale trascrive con la sua grafia incerta e delicata testi, poesie, brani, pensieri e con alcune fotografie in sequenza. L'oggetto ci mostra, nella sequenza narrativa, come lei stessa percepiva le sue fotografie, svelandoci così il suo lato più intimo.
La poesia viene da E. Dickinson, Tutte le poesie, edito da Mondadori nella collana Oscar

catalogo della mostra

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