martedì 22 aprile 2014

Chi è Red Baker? - Robert Ward, Io sono red Baker

Stamattina mi sono svegliata tardi, ieri sera non riuscivo ad andare a letto. Dopo aver finito di leggere Io sono Red Baker mi è venuta una smania incredibile di rileggere Furore di Steinbeck, che nel caos della mia ricomposta libreria non ho trovato, oppure un po’ di Gatsby di Fitzgerald. Mi sarei accontentata anche di qualche racconto, e invece niente, non ho trovato niente di ciò che cercavo per appagare il mio entusiasmo. 
 
Robert Ward, Io sono Red Baker, Barney edizioni, pp.346, €16.50
Ho appuntato su un post-it la necessità di riordinare la libreria, non so ancora secondo quale ordine, e poi ho visto Foglie d’erba di Whitman
Camerado, this is no book,
Who touch this touch a man
Camerata questo non è un libro,
chi lo tocca tocca un uomo

Ottimo. Chissà se sarebbe piaciuto a Red Baker. Lui non mi sembra il tipo da leggere poesie ma, come verso di una canzone probabilmente lo avrebbe apprezzato. Al suo autore, certamente piacerà. Perché Robert Ward scrive una storia di carne e sangue, una storia della grande America della gente comune, una storia che parla direttamente al lettore tramite la voce del suo protagonista, e lo fa in modo diretto, immediato potente e sincero come una vigorosa stretta di mano.
A Baltimora è il 1983. La città è in veloce trasformazione,  i grattacieli prendono il posto delle villette di mattoni,  la storica fabbrica di produzione dell’acciaio, vicino al porto,  si sta modernizzando e gli operai non specializzati vengono licenziati in massa. Anche i Colts, storica squadra di football legata alla città, giocheranno l’ultima stagione a Baltimora prima di spostarsi ad Indianapolis, la sensazione è che nulla possa rimanere come prima e la nostalgia fa da colonna sonora ai pensieri di Red. L’America corre veloce, negli anni Ottanta successo economico e ricchezza sono i metri di giudizio e non c’è posto per i deboli, i poveri, i falliti. Red lo sa. Sa che sarà difficile per lui ricollocarsi, conosce l’umiliazione di dover chiedere un lavoro e fatica a controllare la sua rabbia, la sua disperazione. Si  sente troppo in gamba per mollare, troppo scaltro per finire fra gli ultimi, e metterà in gioco tutto per riscattarsi.


Mentre leggo Red è seduto sullo sgabello accanto a me, al bar, e beve whisky mentre mi racconta la sua storia: non c’è mai stata una storia a lieto fine a Baltimora, ma questa è quanto di più vicino a un lieto fine abbia mai sentito. La storia è lui, il libro è la sua storia, ma io sono lì accanto e lo seguo nei suoi convulsi spostamenti su e giù dall'auto, nei suoi ragionamenti scardinati, sempre in bilico tra ciò che vorrebbe fare e ciò che farà, tra ciò che sente di dover essere e ciò che suo malgrado è; partecipo e tifo per lui e gli sono accanto perché improvvisamente o poco a poco, non lo so, la sua storia diventa la mia e sono lì in quel supermercato con lui, e sento la voglia di scagliare il carrello contro gli scaffali pieni di cereali e di mandare tutto al diavolo. Red Baker è l’operaio che ti siede accanto al bancone del bar, beve una birra guardando lo sport in tv ed ogni tanto si gira verso di te per commentare qualche azione. Red Baker è l’impiegato che è stanco di essere trattato come un numero ed un giorno sbatte la porta dell’ufficio dietro di sé, si allenta il nodo alla cravatta e sale in macchina verso un futuro diverso. Red Baker è la cameriera, madre di famiglia e non più giovane, che si preoccupa che il tuo caffè sia sempre caldo; è l’amico che hai avuto, e perso; il marito che torna a casa in ritardo sempre con una nuova scusa; la ballerina col trucco pesante che cerca un po’ di stabile quotidianità.


In questo libro è soprattutto un uomo senza il suo lavoro che cerca un riscatto. Si sarà capito, una delle letture più piacevoli degli ultimi mesi.

A questo punto: due parole sul progetto editoriale. Sì perché questo romanzo è la prima uscita di una nuova casa editrice, Barney, e di una collana coraggiosa, I fuorilegge, che si propone di far conoscere al pubblico dei lettori italiani autori molto amati oltreoceano ma poco conosciuti qui, probabilmente perché meno sponsorizzati dalla critica letteraria. Per fare un esempio che ho trovato calzante: se il gusto comune di quello che viene tradotto qui come “americano” è Hollywood e Beyoncé (credo si scriva così), qui stiamo invece parlando del Sundance festival e di Springsteen. Questi autori ci raccontano, insomma, un’altra faccia della luna (non necessariamente the dark side). Sicuramente leggerò volentieri altre cose di questa collana e quindi potete seguire le prossime uscite qui. Adesso che me ne hanno dato un assaggio, voglio certamente provare anche il resto! Stay tuned!

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