O
dobbiamo sempre e comunque salvarci da soli? Oppure, accade tutto un po’ a
caso, indipendentemente dal valore morale delle nostre azioni? O ancora,
bellezza e caso si incontrano più spesso di quanto sarebbe lecito? E il male?
Le “cattive” azioni, quelle che una volte compiute ci lasciano dentro quel
risvolto amaro?
Donna Tartt, Il cardellino, Rizzoli, pp. 896, € 20,00 (sul tavolo da pranzo con accanto tazza di caffè e tovaglietta della colazione) |
Sono le domande a far crescere
Theo, il suo sguardo curioso sul mondo, sui dolori che gli ha riservato, sulle
amicizie, sulla bellezza che ci circonda. Lo incontriamo ad Amsterdam febbricitante ed in preda alle allucinazioni
nella stanza di un hotel, dove inizia a scrivere la sua storia.
Sentiamo il fetore degli abiti macchiati di sangue intorno a lui, il sudore freddo che lo avvolge nonostante le pesanti coperte di lana, scorgiamo i giornali in olandese che si sforza di leggere per sapere, per allontanare la paura. Scrive per esorcizzare il suo dolore, per allontanare il senso di colpa che lo ha accompagnato tutta la vita, per ritrovare un ordine, per mettere un punto. Scrive lettere di addio, che non spedirà, che non lo soddisfano, e scrive la sua storia. Lo fa pensando a quando, molti anni prima in un preciso istante, la sua vita è cambiata. L’istante prima era un ragazzino newyorkese innamorato della mamma e non troppo diligente a scuola che visitava un museo; l’istante dopo?
Sentiamo il fetore degli abiti macchiati di sangue intorno a lui, il sudore freddo che lo avvolge nonostante le pesanti coperte di lana, scorgiamo i giornali in olandese che si sforza di leggere per sapere, per allontanare la paura. Scrive per esorcizzare il suo dolore, per allontanare il senso di colpa che lo ha accompagnato tutta la vita, per ritrovare un ordine, per mettere un punto. Scrive lettere di addio, che non spedirà, che non lo soddisfano, e scrive la sua storia. Lo fa pensando a quando, molti anni prima in un preciso istante, la sua vita è cambiata. L’istante prima era un ragazzino newyorkese innamorato della mamma e non troppo diligente a scuola che visitava un museo; l’istante dopo?
Non mi va di raccontarvi la
storia perché, dal mio punto di vista, se questo libro ha la capacità di
riconciliare con la lettura (e questo è indubbio) è proprio per l’estrema
piacevolezza della scrittura, per cui scoprire ad ogni pagina, capitolo, riga,
la storia di Theo sarà molto più piacevole che ritrovare una trama già sentita.
Questo è anche uno dei motivi per i quali quando esce il nuovo libro di uno
scrittore che già conosco, e presumo piacermi, corro in libreria a comprarlo il
primo giorno di uscita e cerco di leggerlo prima che escano recensioni a
rovinarmi l’esperienza. Che poi, non so voi, io nelle recensioni non voglio che
mi si racconti il libro, voglio avere un pensiero possibilmente personale ed
originale sulla sua lettura. Donna Tartt (di cui vi consiglio, dopo e se vi
sarà piaciuto questo Dio di illusioni)
ci ha messo dieci anni per scriverlo, ebbene, al di là della mole, non si sente
affatto, in positivo intendo, nel senso che le pagine scorrono piacevolmente
sotto gli occhi, e la scrittura risulta fluida, digerita come miele. Non fatevi
spaventare perciò dalla mole imponente.
E il titolo Il cardellino? Non dico nulla sul titolo, sul coprotagonista del
romanzo, sul compagno di Theo, l’oggetto del suo amore e dei suoi sensi di
colpa? Essendo che compare anche sulla copertina penso di poter svelare che Il cardellino è un piccolo dipinto su
tavola, considerato uno dei capolavori dell’arte fiamminga. Proprio mentre Theo
e sua madre lo stanno osservando, un ordigno fa esplodere il museo, ma Theo e
il quadro ne usciranno illesi. L’autore è il pittore olandese Fabritius, di cui
poco rimane perché morì giovane insieme a quasi tutta la sua produzione
artistica nell’incendio di Delft del 1654 (coincidenza?). La tavoletta
raffigura appunto l’uccellino sul suo trespolo, la zampina legata ad una
catenella in metallo. A dispetto della sua condizione di cattività l’uccellino
è fiero nello sguardo e nella posa, e si ribella alla categoria di “natura
morta” entro la quale viene collocato. Poche pennellate che racchiudono la
quintessenza della pittura fiamminga che con i suoi chiaroscuri offre parti di
sé differenti quanto differenti possono essere i punti di osservazione, o lo
stato d’animo degli osservatori.
E voi, cosa vedete?
P.S. Se non vi accontentate di
ammirare la copertina di un libro, né la
mia foto sbilenca, e come potreste? potete sfidare la sorte ed andare a vederlo
dal vero (coincidenza?) a Bologna, Palazzo Fava, fino al 25 maggio alla mostra:
Il mito della Golden Age da Vermeer a Rembrandt Capolavori dal Mauritshuis.
Troverete l’arcinoto La ragazza con
l’orecchino di perla, lo individuerete immediatamente dalla calca di gente
che ci sarà intorno, e poco più in là ammirerete, forse in solitudine, Il cardellino.
Informazioni qui http://www.lineadombra.it/ragazza-con-orecchino/la-mostra/sez-6
P.P.S. Dimenticavo! Perché non posso essere indulgente
su questioni “tecniche”, sempre che comunque interessi a qualcuno. Il libro ha sviste di traduzione e
redazione davvero sintomatiche dello stato attuale dell’editoria.
Vi direi di
proseguire senza dar troppo peso sennonché alle pagine 785/797 e dintorni si
parla di “cappotto di cammello”.
Ora, probabilmente in qualche parte remota del
pianeta qualcuno si sarà anche fatto confezionare un cappotto di pelle di cammello
(ma poi perché??) ma dubito che questo sia il caso. Sarà mica cappotto color
cammello? Possibile che sia sfuggito sia al traduttore, sia al redattore, sia a
chiunque ci abbia lavorato sopra? Mah. MITO MITO DELL
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